Episodio 8

Ottavo episodio

Trama

Le strade di Lila e Elena si dividono. Lila si sposa con Stefano e in seguito, non avendo avuto successo con la vendita delle scarpe dei Cerullo, Stefano si sente costretto a chiedere l’aiuto dei Solara che Lila detesta. Questo infatti compromette il suo matrimonio con Stefano. Elena, invece, progetta di andare a frequentare l’università a Pisa.

Questionario

  1. Elena è sicura di amare Antonio?
  2. Che cosa dice Elena durante la lezione al professore di religione? Che conseguenze hanno le sue affermazioni? Che cosa ci dice questo sulla scuola italiana del tempo?
  3. Che cosa propone Nino a Elena? E chi corregge e modifica il saggio scritto da Elena? 
  4. E’ facile la scelta dell’abito da sposa per Lila? 
  5. Come va il negozio di scarpe dei Cerullo? I prezzi sono plausibili in quel quartiere?
  6. Perché Lila non vuole che Silvio Solara faccia il compare di fazzoletto?
  7. Come si comporta la maestra Oliviero, quando Lila le porta l’ invito al suo matrimonio? Perché secondo te?
  8. Che cosa succede al matrimonio che fa infuriare Lila?
  9. Perché è tesa la madre di Elena?
  10. Chi sono gli invitati più disposti ad intrattenere gli altri? E i più sdegnosi e apatici?

La canzone napoletana

La storia della canzone napolitana riflette ovviamente la storia di Napoli, dei suoi movimenti culturali, artistici, musicali, dei suoi sovrani, della cronaca e delle sue leggende. Per tracciare questa storia bisogna partire dal medioevo, dall’epoca in cui regnava un sovrano illuminato: Federico II di Svevia. In quest’epoca erano le lavandaie ad intonare canti in napoletano come accompagnamento al loro faticosissimo lavoro. La loro giornata consisteva nell’andare a ritirare i panni da lavare nelle case, generalmente dei nobili, e trasportarli alla fonte, al pozzo o ad un ruscello dove, dopo averli lavati, li stendevano al sole per farli asciugare. Una delle più antiche canzoni napoletane, “Jesce sole, nun te fa più suspirà” è infatti l’invocazione al sole delle lavandaie, affinché questo esca per permettere l’asciugatura del bucato. Ascoltiamola nella seguente versione tratta dalla splendida La gatta cenerentola di Roberto De Simone, un’opera teatrale in tre atti ispirata ad un racconto scritto dal napoletano  Giovan Battista Basile nel XVII secolo.

Ancora un’intensa e drammatica interpretazione teatrale dei cori della lavandaie – figure non marginali nella tradizione  culturale napoletana – tratta  sempre da La gatta cenerentola.  In questa scena una lavandaia racconta un suo sogno. In questo sogno  il re la sceglie per fare di lei la sua amante, ma la madre la sveglia sul più bello:

Quando poi nel Trecento salì al trono Carlo d’Angiò, il figlio del Re di Francia, la capitale fu trasferita da Palermo a Napoli. In questo secolo, durante il regno angioino, soggiornarono a Napoli figure importanti della cultura italiana, come Boccaccio che a Napoli visse 13 anni, Petrarca e Giotto perché gli angioini amavano circondarsi di artisti e letterati. Nel Quattrocento sotto gli aragonesi, il napoletano diventò la lingua ufficiale del regno, un conferimento che diede maggior dignità alla canzone napoletana. In questo periodo nasce un nuovo genere: la villanella, una forma di poesia musicale popolare, caratterizzata da temi amorosi, a volte anche comica e licenziosa. 

Nel Cinquecento la villanella conquistò le altre corti d’Italia e d’Europa e dovette modificarsi per essere compresa dal nuovo pubblico lontano da Napoli. Una delle canzoni più belle, ripresa da un’antica villanella e rielaborata nel 1825 dall’abate Genoino e da Guglielmo Cottrau è Fenesta vascia di autore anonimo.

Mentre il Cinquecento fu un periodo di grande splendore per Napoli, il Seicento fu un secolo funesto per la città. Nel 1631 ci fu una violenta eruzione del Vesuvio, paragonabile a quella del 78 d.c.

Poco più tardi, a causa di una grave crisi economica e dell’aumento delle tasse, il popolo napoletano insorse. Era il 1647 e a capeggiare la sanguinosa rivolta durata 10 giorni fu un pescatore: Tommaso Aniello, detto Masaniello. Dopo questa rivolta e l’esecuzione di Masaniello il governo fu costretto ad alleggerire la pressione fiscale.

A questo periodo tormentato, seguì un evento funesto. Infatti, nel 1656 la città  fu colpita da un’epidemia di peste e morì quasi la metà della popolazione.

E che ne fu della canzone napoletana? Alle villanelle si sostituirono le tarantelle, canti e danze accompagnati da tamburelli, nacchere, putipù, mandolino, fisarmonica, flauto, organetto ed altri ancora. Una delle tarantelle più famose è Michelemmà. Chi sia l’autore del testo della canzone è una questione molto dibattuta, così come molto discusso è stato il suo significato. Ad ogni modo, secondo una tradizione popolare, Michellemmà è una ragazza dai capelli ricci come la scarola, nata in mezzo al mare come l’isola d’Ischia, che fa innamorare chi la vede. Ascoltiamola nella versione del gruppo musicale Napulantica:

Molto in voga nel 700 fu l’opera buffa in napoletano. Due buoni esemplari di questo genere sono Le zite ‘n galera (le fidanzate in galera) composta da Leonardo Vinci e Lo frate nnammorato di Giovanni Battista Pergolesi, anche se il popolo continuò ad amare e produrre tarantelle.

Ad ogni modo, il periodo d’oro della canzone napoletana comincia nell’Ottocento e continua sino all’immediato dopoguerra. Il repertorio della cosiddetta canzone classica napoletana è costituito da brani di poeti, parolieri e compositori importanti come Salvatore di Giacomo. Roberto Murolo e Sergio Bruni. Come data di nascita della classica canzone napoletana conosciuta in tutto il mondo si indica quella di “Te vojo bene assaje” e cioè il 1839. Del 1898 è quello che possiamo considerare l’inno della città di Napoli, “O’ sole mio”, scritta dal giornalista Giovanni Capurro. In seguito particolarmente amata e commovente fu “O sordato nnammurato” scritta  da Aniello Califano nel 1915, anno in cui iniziò la Prima Guerra Mondiale. Il regime fascista la mise all’indice perché la considerava una canzone disfattista, un inno alla diserzione. Anche la seconda guerra mondiale lasciò la sua impronta tragica  sulla canzone napoletana. In “Munasterio ‘e Santa Chiara” di Michele Galdieri un emigrante canta il suo desiderio di tornare a Napoli e la paura di trovarvi una città distrutta dalla guerra. Il monastero di Santa Chiara fu distrutto dai bombardamenti e chi compose la sua musica, Barberis , morì in Argentina, seppellito dalle macerie durante un terremoto. Della stessa epoca è “Tammuriata nera” che ha una storia estremamente interessante Nel 1945 Edoardo Nicolardi  che lavorava nell’amministrazione di un ospedale di Napoli, un giorno sentì che nel reparto maternità era nato ad una ragazza napoletana nasce un bambino dalla pelle nera, fatto che aveva sorpreso un gran numero di persone, ma che aveva una spiegazione molto semplice: nel 1944 a Napoli erano arrivati ai Tedeschi erano subentrati i soldati americani, fra cui c’erano  molti uomini di colore.  Edoardo Nicolardi andò a casa e scrisse il testo di “Tammurriata nera” poi il suo consuocero, un celebre musicista, compose la musica.

La canzone occupa anche oggi una posizione centrale nella cultura napoletana, ma non vanta più la qualita di un tempo, né gode della fama mondiale di cui ha goduto per secoli.

 Ecco adesso il testo di “Lazzarella”, scritta nel 1957 da Riccardo Pazzaglia e Domenico Modugno (noto in tutto il mondo come autore con Franco Migliacci di “Volare”, il cui titolo originale era “Nel blu dipinto di blu”). “Lazzarella” conquistò il secondo posto al Festival di Napoli di quell’anno. In quest’episodio di L’amica geniale tutti gli invitati al matrimonio di Lila ad un certo punto ballano sulle note di questa canzone. Ascoltiamola cantata da chi l’ha composta: Renato Carosone, autore di una canzone famosa a livello  internazionale: “Tu vuo’ fa’ l’americano.”  Poi leggiamola attentamente e proviamo a tradurre almeno qualche verso in italiano.

“Lazzarella”

Cu ‘e libbre sott’ ‘o vraccio
e ‘a camicetta a fiore blu,
vuó’  fá ‘a signurenella
nnanz’ a scola pure tu…
Te piglie ‘a sigaretta
quann’ ‘accatte pe’ papá,
te miette giá ‘o rrussetto
comme vire ‘e fá a mammá…
Lazzarè’!…
Ma Lazzarella comme si’!?
tu a me mme piace sempe ‘e cchiù,
e vengo apposta pe’ t’ ‘o ddí,
vicino ‘scola d’ ‘o Gesù…
Tu invece mme rispunne: “Eggiá,
io devo retta proprio a te…
Pe’ me ll’ammore pó aspettá,
che n’aggi”a fá?…nun fa pe’ me!…”
Ah, Lazzarella!
ventata ‘e primmavera…
Quanno passe tutt’ ‘e mmatine,
giá te spiecchie dint’ ‘e vvetrine,
sulo nu cumplimento te fa avvampá…
Ma Lazzarella comme si’,
tu nun mme pienze proprio a me,
e ride pe’ mm’ ‘o ffá capí
ca perdo ‘o tiempo appriess’a te!
Mo vène nu studente

nnanz’ ‘a scola d’ ‘o Gesù,
te va sempe cchiù stretta
‘a camicetta a fiore blu…
te piglie quatto schiaffe
tutt’ ‘e vvote ca papá,
te trova nu biglietto
ca te scrive chillu llá…
Lazzarè’!…
Ma Lazzarella comme si’,
ce si’ caduta pure tu…
Ll’ammore nun te fa mangiá
te fa suffrí, te fa penzá…
Na sera tu lle dice : “No”
Na sera tu lle dice : “Ma”
ma si nu vaso te vò’ dá
faje segno ‘e sí senza parlá…
Ah, Lazzarella,
‘o tiempo comme vola:
Mo te truove tutt’ ‘e mmatine,
chino ‘e lacreme stu cuscino…
Manco na cumpagnella te pò aiutá!
Ma Lazzarella comme si’!?
Te si’ cagnata pure tu…
e te pripare a di’ stu Sí, 
ma dint’ ‘a cchiesa d’ ‘o Gesù!

Il pranzo di nozze.

Adesso guardiamo la scena di quest’episodio in cui l’orchestrina suona questa canzone che invoglia molti invitati a ballare:

Che cosa avviene precisamente in questa scena? Quali tensioni mostra? Tra quali personaggi? Che cosa pensate della posizione della madre di Elena rispetto alla relazione della figlia con Antonio? Parlatene in coppie e poi illustrate la vostra prospettiva alla classe.